di Dario Famà
“Colui che apre una porta di una scuola, chiude una prigione”.
Victor Hugo
In un mondo ancora scosso e ferito dalla pandemia di COVID 19, l’attualità ci impone di riflettere su un tema chiave per il futuro del nostro Paese: la scuola. Per quanto mi riguarda, essa non va considerata in maniera semplicemente come un edificio in cui viene erogato uno dei servizi fondamentali per la società in cui viviamo, ma come una rete umana in cui si veicola un patrimonio di conoscenze ed esperienze atte a creare un forte senso d’appartenenza e di solidarietà tra esseri umani.
Se vista da questa prospettiva, la scolarizzazione risulta una tappa essenziale per lo sviluppo della persona e della comunità che la circonda. Ciò vale ancora di più in un ambiente particolarmente alienante come quello carcerario. A maggior riprova di questo fatto, il numero di laureati comprende appena il 2% della popolazione carceraria maggiorenne, mentre al di fuori della prigione il numero sale al 15% (in un campione di persone dai 15 anni in su).
Non finiscono qui i paragoni con il mondo esterno: per quanto riguarda altri livelli d’istruzione, più della metà dei carcerati possiede una licenza media inferiore a fronte del 32% con la terza media. Il 15,5% dei detenuti possiede un diploma superiore, mentre il 2,2% un diploma professionale, a fronte di un 31,2% che ha ottenuto il diploma di maturità e il 5,6% con un diploma professionale. Morale della favola? Il confronto tra scolarizzazione nel mondo carcerario e mondo esterno è impietoso.

L’avvento della pandemia ha solamente aggravato un problema sistemico. Per cercare di comprendere la portata di questo peggioramento, bisogna indagare il funzionamento di quest’attività all’interno degli istituti penitenziari. In prima battuta bisogna affermare come gli insegnamenti scolastici tra le sbarre siano organizzati dai Centri provinciali d’insegnamento per adulti (al pari delle scuole serali indirizzate alle persone in età più avanzata).
Con l’innescarsi della pandemia, la modalità di svolgimento della didattica non si è svolto in presenza, ma nemmeno in DAD online (anche a causa di connessioni internet scadenti in alcuni istituti). Si è passati piuttosto ad una preparazione ex ante del materiale scolastico da parte degli insegnanti che viene successivamente distribuito tra i detenuti.
Questo sconvolgimento di scenario ha contribuito a disincentivare l’iscrizione ai corsi scolastici tra il 2020 e il 2021 (circa cinquemila studenti in meno) in tutti e tre i livelli:
- Primo livello (Alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana o scuole elementari e medie inferiori)
- Secondo livello (scuole superiori)
- Terzo livello (diploma)

Meno della metà dei detenuti iscritti al primo livello d’istruzione (circa il 40%) vengono promossi, mentre per gli altri due casi le percentuali si alzano drasticamente (50% per il secondo e 70% per il terzo). Per quanto concerne, invece, i corsi di alfabetizzazione e apprendimento dell’italiano, il 90% dei frequentanti è straniero. A completare il quadro si conta poco più di un quarto di carcerati coinvolti nelle attività didattiche.