di Francesco Catera
Ci sono due grandi ossessioni per il mondo dei post comunisti d’Italia: il 25 Aprile, il Santo Natale della sinistra che fisiologicamente risveglia le onde della retorica e scatena un maremoto di accuse di fascismo contro gli avversari politici, e il Primo Maggio, la festa dei lavoratori utilizzata dai fannulloni rossi per esacerbare l’odio sociale nei confronti degli imprenditori e delle partite iva che in realtà questo paese, con il lavoro e le loro tasse, lo tengono in piedi. E’ un mantra che conosciamo bene e che si ripete ogni anno: la settimana Santa della sinistra italiana; il concentrato di psicosi collettiva e generalizzata per cui quelli che ben pensano dicono le cose che tutti si aspettano.
Quanto sia beffardo – in questo periodo di celebrazioni compreso tra il 25 aprile e l’1 maggio – ascoltare i tanti che difendono (a parole) le libertà ma che in realtà furono tra i più accaniti sostenitori di coprifuoco e inseguimenti in elicottero di runner solitari in tempo di covid e quelli che sfilano in piazza a difesa dei lavoratori ma che, a memoria e nei fatti, non dissero nulla quando a Trieste i portuali in sciopero della fame per le folli chiusure del ministro Speranza vennero sgombrati con manganelli ed idranti, proprio non so dirvelo. Ma procediamo per gradi.
Ha fatto molto discutere la lettera – che per tono e tempismo rievoca lo storico e commovente discorso che Silvio Berlusconi tenne ad Onna nel 2009 – che il Presidente del Consiglio ha inviato al Corriere della Sera in occasione della Festa della Liberazione.
Meloni ha scelto di inserirsi a gamba tesa nel dibattito con un intervento lungo e puntuale col quale ha cercato di definire davanti alla parte più qualificata dell’opinione pubblica – e dunque lontano dalle piazze populiste – lo smarcamento da ogni forma di totalitarismo. E ci è riuscita alla grande: lo ha fatto in modo inequivocabile, convinto e privo di ambiguità.
In sostanza il testo di Meloni è caratterizzato dalla nettezza delle posizioni e pare riprendere il suo primo grande discorso da Premier, quello che pronunciò al Parlamento appena eletto ed in procinto di votare la fiducia al suo governo. Insomma, la lettera è perfetta: cristallina ed ineccepibile. Infatti, neanche a dirlo, la sinistra è esplosa e ha iniziato ad inveire. Le reazioni sono surreali: innanzitutto l’intollerabile tenore delle repliche, volte unicamente a derubricare questa bellissima dichiarazione a classica ‘lavata di faccia’ inviata da destra ad un giornale di sinistra; quasi come se fosse necessaria per accreditarsi alla suprema intellighenzia; come se fosse necessario ricevere l’exequatur da Schlein, Bonelli, ‘La Repubblica’, Lilli Gruber, Fabio Fazio e tutti quelli del salotto perbenista.
Ma se anche fosse (e non è), sarebbe utopico proprio il fine: quella dei buoni e dei puri è un’intellighenzia presso la quale non ci si accrediterà mai, perché qualunque parola, qualunque discorso o esternazione, qualunque gesto, è sempre troppo poco.
Per Sala, Nardella e affini, infatti, questa lettera non basta: il Pd tutto in fermento, contrariato perché Meloni non ha scritto apertis verbis – come se fosse necessario farlo – ‘Sono antifascista’; ed in realtà lo ha scritto e come, per chi sa leggere. Anzi, lo dice da anni. E se a sinistra fossero stati in grado di afferrare il messaggio non sarebbe comunque bastato perché nella lettera di Meloni non c’è scritto apertis verbis ‘Sono antirazzista’; e anche immaginando fosse scritto, non sarebbe andato bene perché non presente la dicitura ‘Sono favorevole alle adozioni gay’.
Si, i fascisti di sinistra ritengono che per essere abilitati alla discussione sia necessario prima dichiararsi, a priori, a favore delle loro verità. Che non sono verità e che solo di loro proprietà restano, dato che hanno governato per 11 anni senza aver mai vinto le elezioni mentre Giorgia Meloni, la competizione elettorale, l’ha stravinta ricevendo un solidissimo mandato popolare.
Sarebbe l’ora di smetterla di prestare l’orecchio alla prepotenza morale di quelli che credono di stare un gradino sopra – in quanto dotati di purezza e civiltà infinita – e che chi sta al piano di sotto debba essere costretto, prima di affacciarsi al dibattito, a recitare la formuletta di accredito e condivisione rispetto alle idee che stupidamente (ma forse ci sono anche riusciti) hanno tentato di ergere a verità assoluta. In realtà, però, non lo sono; e ‘Buongiorno Signori Puri, posso entrare in punta di piedi? Sono antifascista, antirazzista, partigiano e femminista’ non è il biglietto da visita da presentsre a Largo del Nazareno o a Via Cristoforo Colombo, semplicemente perché Pd (e affini) e ‘La Repubblica’ non rappresentano nessuno rispetto al quale chiedere permesso. Sia chiaro, non perché non sia civilmente scontato ritenere antifascismo e antirazzismo valori della Repubblica ma perché in questo paese non esiste – anche se l’alta intellighenzia ha provato paradossalmente ad autoproclamarvisi nonostante fosse un’operazione esattamente contraria rispetto a quello che questi truffatori professano – il rappresentante della correttezza istituzionale, il garante dell’adeguatezza morale, il controllore dei titoli di accesso al dibattito pubblico.
L’infinito processo alla destra semplicemente fa ridere; e lo screening del sangue democratico è un fiume di parole bugiarde.
Bene ha fatto Meloni a citare Togliatti e l’amnistia concessa ai fascisti nel 1946 perché, mentre i comunisti e i democristiani di allora ebbero un approccio pragmatico rispetto allo Stato e alla nascente Repubblica, il mondo azionista rosso di oggi ha costruito il falso mito della Resistenza come opposizione aprioristica dei partiti del bene e quelli del male. In effetti, come ha ricordato qualche giorno fa il Professor Perfetti su ‘Il Giornale’, se il 25 Aprile nacque da un’intuizione di De Gasperi per mettere insieme tutte le componenti che si opponevano alla dittatura, ben presto le cose sono cambiate e la sinistra ha imboccato una strada diversa trasformando questa festa in una sorta di auto celebrazione e tendendo ad escludere gli apporti delle altre sensibilità politiche. Ed è stato così che, lentamente, la vera immagine del 25 Aprile è diventata quella del presidente dell’Anpi di Viterbo che rifiuta di stringere la mano a Sgarbi, da sempre istrione libertario che si batte per tante cause – spesso perse – di ogni ordine, grado e colore.
Perché non stringergli la mano? L’ignoranza. Si, quello pseudo partigiano è il prototipo vivente della capra alla quale spesso lo stesso Sgarbi si appella quando il dibattito si scalda. Il partigiano capra, punzecchia il direttore Sallusti, è una specie che non conosce regole di democrazia e buona educazione; è una specie particolarmente diffusa: colui il quale, carico di pregiudizi, pensa di essere portatore della verità, l’unica possibile: la sua. Ed in quanto capra è convinto che tutte le altre debbano essere messe a tacere; e pensa che tutto possa essere risolto sventolando la Costituzione, ma essendo capra ignora che proprio nella Costituzione c’è scritto il contrario di ciò che crede giusto in quanto a parità di dignità di tutti i cittadini, a prescindere dalle loro idee.
Questo atteggiamento di una precisa parte politica ha ormai reso il 25 Aprile un’enorme secchiata di retorica. ‘Noi figli della resistenza’, dice il presidente della Repubblica Mattarella. Non lo sono di certo le nuove generazioni – figlie delle enormi violazioni delle libertà costituzionali in tempo di Covid – e tantomeno possono esserlo i cinquantenni figli degli anni settanta, del terrorismo rosso, degli anni di piombo. Le libertà, allora si, le stavamo perdendo a causa di quei terroristi rossi che si rifacevano proprio alla resistenza partigiana rispetto a quello che ritenevano essere il fascismo dell’epoca, quello della Democrazia Cristiana. Col senno di poi, strappa un sorriso; ma infondo per gli antifascisti della modernità tutto può essere fascismo. Ogni cosa che non rientri nel cerchio sempre più stretto del pensiero corretto. Come dice Luca Crisci su ‘L’Opinione delle Libertà’, nel recinto sempre più stretto, fascismo è ogni cosa; ed in base alla cultura del momento il recinto si sposta o si restringe.
La Resistenza è quell’esperienza storica che la sinistra ha travisato e ha sempre utilizzato per contrapporre ai suoi avversari politici – ritenuti non abbastanza anti-fascisti – la propria verginità partigiana. Non si comprendono però le ragioni per cui in Italia coloro che si considerano i custodi unici e gli eredi della Liberazione ne neghino allo stesso tempo l’efficacia proponendo una divisione immaginaria tra italiani compiutamente democratici ed altri (presumibilmente la maggioranza visti gli ultimi risultati elettorali) che pur non dichiarandolo parrebbero sognare un ritorno a quei periodi di negazione delle libertà.
Savonarola nostrani ai quali bisognerebbe consigliare un periodo di sano esercizio di democrazia: che evitino, per una volta almeno, di demonizzare chi la pensa diversamente! È il curioso cortocircuito comunista: danno agli altri dei “fascisti” ma vorrebbero imbavagliare chi non la pensa come loro. Il totalitarismo dei buoni e dei giusti per definizione. A volte i tentativi sono tanto fallaci che scadono nel ridicolo: il solito Merlo, addirittura, su ‘La Repubblica’ riferisce di una forte ‘vibrazione del fascistometro’ – dopo il video social rilanciato dai telegiornali con cui Meloni ha pubblicizzato il consiglio dei ministri del primo Maggio – e lo paragona ad un estratto dell’istituto Luce degli anni trenta; in tutto questo dimenticando di non aver avvertito nessun ritorno al ventennio quando invece il beniamino Presidente Conte, in tempi non sospetti, invadeva con cadenza preoccupante le case degli italiani lanciando invettive contro i leader politici dell’opposizione in prima serata, a reti unificate e in assenza di contraddittorio.
In generale, il plotone di firme benpensanti ha una fissazione quasi psichiatrica: più che mai attuale, Sciascia: “Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è.”
Ha senza dubbio ragione la Premier Meloni: l’obiettivo di quanti stilano le liste di chi possa partecipare e chi no alle iniziative pubbliche pensate per la ricorrenza del 25 Aprile è facilmente intuibile ed attiene ad un piano che nulla ha a che fare con la storia ma tanto con la politica: è usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico, arma di esclusione di massa per estromettere persone, partiti, associazioni e singoli individui da ogni ambito di confronto e discussione. Si, perché i figli dei comunisti credono di avere una sorta di ius primae noctis con la Resistenza e, con una concezione proprietari, si considerano gli unici depositari dei valori della libertà e della democrazia. E quando alla sfilata del 25 Aprile partecipano le brigate ebraiche e vengono aggredite, o sventolano le bandiere della Nato e degli Stati Uniti e vengono contestate, emerge tutta l’ignoranza di questi venditori di fumo che non solo sono tutti pro Palestina ma non sanno neanche che la liberazione è frutto della grande e valorosa gioventù inglese e statunitense che al contrario di quei fucili rossi imbracciati contro l’invasore tedesco affinché potesse essere soppiantato il suo regime e sostituito con quello più criminale della storia dell’umanità, sparavano per regalarci lo stato di diritto e la libertà.
L’unico lampo di lucidità a sinistra è quello di Violante che su ‘Il Corriere della Sera’ si schiera contro questa narrazione insopportabile: basta con la retorica dell’antifascismo inteso come polemica strumentale contro una parte politica. È un deficit culturale che in tempi non sospetti Umberto Eco aveva già teorizzato: il fascismo eterno. Si, ci siamo fermati al mondo dell’antifascismo come polemica culturale; ed è inaccettabile perché la partita doveva ritenersi definitivamente chiusa con lo storico discorso – citato in precedenza – che il Presidente Berlusconi recitò ad Onna, spiegando i valori della democrazia ed esibendosi in una magnifica lezione di libertà. (Ferma restando l’amara considerazione di fondo, di Capezzone, sul fatto che quando tocca alla destra, la destra pacífica; quando tocca alla sinistra, ti sparano addosso: fu così che pochi giorni dopo quel potente discorso dell’allora Premier – che in quei mesi era in cima a tutti i sondaggi conservando un grosso distacco rispetto agli avversari e con livelli di consenso e popolarità inauditi – iniziò una delle campagne mediatico-giudiziarie più assurde e selvagge contro la sua persona)
Da quel momento in poi nessuno dovrebbe permettersi di pensare che il centrodestra, struttura politica creata trent’anni fa dal genio di Berlusconi stesso, possa essere accostata al fascismo e ad un mondo che non esiste più.
Gli antifascisti fascisti: quella parte di resistenza minoritaria che piace agli azionisti e a quei criminali ideologici che oggi vogliono dettare legge e pensiero. Ma senza tutto questo chiacchiericcio fazioso la sinistra si sgretolerebbe, visto il terreno arido che ha costruito sui propri temi. Si sa: il fascismo è una bandiera di sinistra; la più grande. E nel frattempo i veri liberatori promuovono il Governo Meloni e sparano a zero sulla bieca retorica dell’opposizione: il Washington Post e la CNN, infatti, elogiano a spada tratta i primi mesi dell’esecutivo e il suo posizionamento internazionale marcatamente atlantista.
Ad ogni modo, se la giornata della Liberazione è stata in fin dei conti né più né meno di ciò che ci si aspettava, con le solite sterili polemiche dei partiti di sinistra e il classico tentativo dem di prendersi i voti dei più ferventi comunisti, ci sono pochi dubbi sul fatto che la prima cosa che le leadership dei partiti abbia fatto nei giorni seguenti sia stato controllare le variazioni dei decimali nei sondaggi elettorali. E se per caso i risultati non avessero soddisfatto le aspettative, hanno comunque avuto una settimana di tempo per riprovarci e rincarare la dose regalandoci retorica e pesantezza da far scendere il latte alle ginocchia anche il primo Maggio.
Questa si, non la festa dei lavoratori ma quella di Landini (non si capisce perché non si candidi alle elezioni se da ogni palco e in ogni situazione si diletta in orazioni politiche da vivissima campagna elettorale) e di tutti quelli che, quando Meloni intervenne al congresso della Cgil per parlare di lavoro, riduzione delle tasse e pensioni, lanciarono i pupazzi sul palco cantando ‘Bella ciao’.
Se i sindacati preferiscono fare politica piuttosto che difendere i salari dei lavoratori, sorge spontanea la domanda sul perché le lezioncine di diritto non le abbiano fatte quando i principi costituzionali venivano sistematicamente violati in periodo di pandemia e, loro, si accodavano a tutte le politiche di restrizione che hanno dilaniato diritti e bustepaga dei dipendenti.
Si, la Meloni ha sfidato i sindacati anche sul primo maggio: invece di andare al concertone di Roma ad ascoltare fenomeni da baraccone che aizzano la folla incoraggiando le azioni di imbrattatori ed ecoteppisti, scagliandosi contro la Nato e il sostegno all’Ucraina, sbraitando contro l’esecutivo e avocandosi il diritto di spiegare la Costituzione, ha approvato in consiglio dei Ministri un pacchetto di misure che rende più flessibile il mercato del lavoro impegnando 4 miliardi sul taglio delle tasse e predisponendo incentivi all’assunzione dei giovani, intervenendo allo stesso tempo anche sulla sicurezza sul posto di lavoro e sull’alternanza scuola-lavoro. Un grande calcio negli stinchi ai sindacati e alla retorica della politica. Tant’è che la sinistra ha scatenato la sua ira e Landini ha avuto il coraggio di definire come un’offesa nei confronti dei lavoratori ed un atto di arroganza fissare il consiglio dei ministri il primo maggio. Se lavorare è diseducativo, non c’è dubbio sul fatto che il concertone del primo maggio andrebbe abolito. E, magari, che Landini si esprima pubblicamente sulla mole di persone con contratto a tempo indeterminato dietro ai cantanti, i politici e i grafici del palco perbenista: ve lo dico io, verosimilmente nessuno, tra ballerini, operai impegnati col montaggio dei ponteggi sui quali quelli che pensano bene parlano, gli scenografi e tutti gli addetti ai lavori. I contratti a tempo indeterminato devono farli solo gli altri, tutto il mondo che sta lì, il primo maggio, è esentato: è il palco della redenzione.
Meloni invece il primo maggio lo ha festeggiato con i fatti ed ha vinto: smascherati i sindacati – e la sinistra tutta – che tifavano per l’austerity di Monti e oggi si trovano, per partito preso, a tifare contro il decreto pro lavoro della Meloni. Ennesima applicazione pratica del solito cortocircuito buonista, il festival dell’ipocrisia.
Nel frattempo, il messaggio che arriva da sinistra rinvigorisce inevitabilmente l’esecutivo: “critichiamo il governo perché vi mette in busta paga 100 euro in più ogni mese, l’alternativa che vi proponiamo noi sono 100 ‘Bella ciao’ cantate a squarciagola dal palco di San Giovanni Laterano .” Il concertone (trasmesso inevitabilmente su Rai 3, non sul primo ne su Rai 2, su Rai3) è un’occasione per insultare i governi che non piacciono a quelli che stanno sul palco. (Che poi sono sempre gli stessi, e il dubbio se serva un abbonamento o basti presentare la tessera di partito, appare legittimo)
In ogni caso, è chiaro: il periodo tra il 25 Aprile e il 1 Maggio è diventata quella settimana in cui una parte lavora e prova a dialogare, l’altra manda in scena un aggressivo moralismo vittimistico e sfila per la sopravvivenza della sua area politica corrosa ed infetta da residui di grillismo, implosa sull’arroganza ideologica, la logica parassitaria dell’assistenzialismo sfrenato e un’overdose di retorica nel segno dell’odio e della divisione rispetto al Governo di ‘estrema destra’. Così tanto a destra, sarcasticamente, che nessuno pare essere in grado di capirne il posizionamento così smaccatamente europeista, integrazionista, morbido e compromissorio.
Quel che è certo è cosi non reggerà l’opposizione: non si può navigare in un continuo processo alle intenzioni, pensando di dare lezioncine (dall’alto di che?) ad una maggioranza solida e coesa, soltanto attendendo con ansia i passi falsi del governo per tentare di delegittimarlo. Occorrerebbe invece un progetto convincente in grado di riappropriarsi di quel bacino di voti che la sinistra ha perso per l’indifferenza che ha dimostrato nei confronti delle esigenze e delle istanze del suo elettorato storico.
Per ora, neanche l’ombra. Lunga vita a Giorgia.