di Marta Ferrua
Si sono da poco concluse le celebrazioni per il centenario dalla nascita di Pier Paolo Pasolini. A questo personaggio poliedrico (poeta, romanziere, regista, pittore) è stato dedicato a Roma il progetto espositivo ‘Pier Paolo Pasolini, Tutto è santo’, incentrato su un oggetto specifico della sua arte: il corpo.
Il corpo è stato centrale non solo nell’esperienza di vita di Pasolini (con tutte le polemiche sulla natura dei suoi desideri sessuali) ma anche in quella della sua morte (dove quel corpo è stato brutalizzato, nella notte del 2 novembre 1975 a Ostia).
Non stupisce, dunque, che questo soggetto rivesta un ruolo centrale nella sua poetica. Il corpo viene indagato in diversi modi e con vari strumenti artistici: nelle mostre romane spiazzano, ad esempio, le foto di nudo integrale dello stesso autore, sdraiato di fronte all’osservatore, con una schiacciante indifferenza. Il corpo si mostra poi nelle linee rigonfie nei quadri, nell’infinito costruirsi di masse di carne sempre centrali, anche nelle tele appena abbozzate e negli schizzi.
Ma questo elemento troverà però la sua forma di espressione privilegiata, e insieme più oltraggiosa e insostenibile, nell’arte che, a detta di Pasolini stesso, è la «forma scritta della realtà»: il cinema. Il cinema de I racconti di Canterbury in cui sfilano corpi nudi e spaventosamente umani, senza alcun ‘tatto’ per il pudore. Il cinema di Salò o le 120 giornate di Sodoma, dove i corpi non sono più mitizzati ma umiliati e usurpati.
Ma cosa rappresenta il corpo per Pasolini?
Il corpo è la grande perdita subìta dall’umanità nella società del consumo, la grande vittima, insieme a Dio, del progresso. La dimensione fisica e sessuale è diventata per l’uomo la vergogna da coprire e insieme la merce da vendere. Nella società del consumo si vive la contraddizione di un corpo venduto in serie che, in qualche modo, non appartiene più a nessuno, proprio perché appartiene a tutti. C’è una desacralizzazione del corpo e dell’autenticità della sessualità, sotto la maschera di una fasulla liberazione sessuale. Come Pasolini sentenziava: «c’è una manipolazione anche fisica del corpo nell’epoca consumistica», perché quando non è il pudore ad allontanare l’uomo dalla propria dimensione fisica, è l’esasperata mercificazione della stessa che ne uccide la verità. Pier Paolo avvertiva queste contraddizioni ed era pronto a svelarne i meccanismi. Ma come svolgere il disvelamento? Il mezzo privilegiato sembra, per l’artista, essere quello della celebrazione del corpo nella sua muta potenza, nella sua espressione silenziosamente comunicativa, che lascia gli spettatori attoniti di fronte alle proprie ipocrisie.
Quello di Pasolini è un ragionamento eccezionalmente moderno, che affronta questioni allora nascenti e oggi pienamente sviluppate, vicine forse all’esplosione: l’epoca attuale mostra infatti il risultato della deumanizzazione dei corpi, privati di concretezza nella loro seriale diffusione. Il corpo standardizzato, ridotto a caratteristiche ‘vendibili’. Si tratti di corpi sottoposti alla legge di mercato, che perdono così, almeno in parte, la loro concretezza, la loro dimensione silentemente normale che avevano nell’opera pasoliniana. Perché se il corpo è socialmente riconosciuto come strumento per meritarel’accettazione, l’amore, l’attenzione (e ciò solo finché rispetta un certo standard), a volte un lavoro, non è un corpo che appartiene a chi lo abita. Il corpo che appartiene è semplicemente umano, senza regole o copioni, con i suoi bisogni.
Mancano a quest’epoca i corpi nudi e liberi di Pasolini, le linee dei suoi dipinti, l’assoluta assenza di senso di un corpo che esiste e non deve per questo giustificarsi. E non è forse un caso che la morte di questo intellettuale sia stata così anormalmente violenta, diretta contro quel corpo che cercava di liberarsi e con se stesso di liberare tutti gli altri; il tragico destino di un corpo messo a tacere mentre cercava l’emancipazione.