Ha vinto il mainstream radical: Elly Schlein è il giustiziere di un esperimento mai riuscito

di Francesco Catera

“Mi ha molto colpito ciò che mi è stato detto da alcune donne di 100 anni che oggi hanno votato per me. Mi hanno detto che erano 90 anni che aspettavano di votare per una segretaria.”

Così Elly Schlein, primo segretario donna del Partito Democratico, in una dichiarazione a caldo subito dopo la sua vittoria su Bonaccini, difficilmente pronosticabile alla vigilia delle primarie del Pd di domenica scorsa.

Mi sembra di vederle, agli inizi degli anni trenta del ‘900, bambine di 10 anni che, sognanti, si chiedono quando potranno finalmente votare una segretaria di partito, americana e con passaporto svizzero, che da plurimilionaria qual è (e questa non è una colpa, se non fosse per il fatto che con una evidentissima sensazione di rimorso da borghese che deve farsi perdonare qualcosa si scaglia ideologicamente contro i grossi patrimoni e le imprese, come se fosse utile alla sua causa alimentare l’odio sociale per avvicinarsi ad un elettorato che, in realtà, necessita dell’impresa per campare) si prepara a portare il Pd indietro di trent’anni, rinserrandolo in un’agenda fatta di patrimoniali e follie ‘arcobaleniche’.

Per la prima volta nella storia del Pd il voto delle primarie rovescia quello degli iscritti. Il segretario lo scelgono “i passanti”, avrebbe detto Massimo D’Alema: Schlein candidata senza la tessera di Partito ed eletta grazie ai voti dei non iscritti che nella giornata di domenica 26 Febbraio si sono riversati in massa ai gazebo dem.

Un tempo, come fa ben notare il direttore Minzolini, il cosiddetto ‘entrismo’ era una tecnica tutta comunista utilizzata dai compagni per egemonizzare gli altri partiti. Ora, invece, rischia di rimanerne vittima il Pd stesso, dal momento che sono stati proprio gli ‘entristi’ a volerne il suo riposizionamento molto più radicale. Questa vittoria alle primarie dem, più che un ribaltone rispetto ai voti espressi dai tesserati nei circoli dem, sembra tanto un OPA ostile.

Ed è paradossale che Schlein sia stata investita di un mandato a cambiare tutto senza essere risultata vincitrice nei circoli ma solo nelle grandi città e con gli sponsor della classe dirigente storica: Franceschini, Prodi, D’Alema, Bersani, Boccia. Elly Schlein è frutto dell’establishment dem.

La svolta a sinistra del Pd non è altro che una tragicomica giravolta politica. Ed “il lampo nel buio che squarcia fragorosamente la politica italiana”, come ‘La Repubblica’ vuol far credere, è in realtà la camera ardente del Partito Democratico: fenomeno senza tempo della straordinaria arte del ripetersi; nello specifico, ripetere il gesto estremo del suicidio politico.

Se Bonaccini rappresentava la sinistra moderata e di governo, quella che quando necessario (forse) riesce anche a fare il bene del paese, Schlein rappresenta la frangia radicale, quella che vive grazie al Partitone e che garantisce il posto fisso in associazioni, enti, para-enti e cooperative. I classici comunisti della ditta; quelli dell’allarme fascismo a tutti i costi, dei presidi iscritti al Partito democratico che scrivono le letterine (non richieste) pseudo-educative solo quando fa comodo, quelli che foraggiano i centri sociali e che difendono il terrorista anarchico Cospito, che odiano le forze dell’ordine, quelli della legalizzazione delle droghe e quelli che non difendono le donne se non sono Rosy Bindi.

Semplicemente ha vinto la borghesia radical chic – espressione di un leitmotiv parolaio molto incentrato sui diritti e poco sulla questione sociale – che presenterà un fascicolo di proposte capace di distrarre dai temi seri del lavoro e della tassazione per concentrarsi su bio, green, lgbtq+, utero in affitto e cancel culture; la sinistra moderata delle famiglie con il mutuo e la pizza il sabato, quella dell’Italia in cui il ceto medio è piegato dalla crisi, invece, di certo non voterà più Pd.

Elly Schlein, infatti, altro non è che la vestale del nuovo ordine social democratico estremamente left oriented. L’icona perfetta per la sinistra da business class e da salotti.

Rappresenta al meglio le nuove correnti della globalizzazione della sinistra fucsia: l’esempio paradigmatico di una new left smaccatamente arcobalenica con sensibilità aprioristicamente gender fluid, tutta green, completamente demofobica e dunque totalmente distante dalle visioni del mondo e dagli interessi delle classi nazional popolari e dei lavoratori. Anzi, non esistono nella sua agenda i lavoratori e le classi popolari.

Esistono, invece, solo minoranze da proteggere. Per i radical chic dei ceti abbienti, i lavoratori sono populisti perché pensano ai salari, all’occupazione e tralasciano i capricci buonisti. Non pensano all’utero in affitto ma a mandare a scuola i figli, a fare in modo che possano avere una vita dignitosa.

In verità, ad oggi la vittoria di Elly Schlein certifica solamente la natura reazionaria dell’area Dem.

Innanzitutto sul “tema donna”, figlio dei tempi.

Infatti, dopo aver provato ad imbambolare gli italiani facendo eleggere in Parlamento lo schiavista degli immigrati con gli stivali – e storicamente, andando a ritroso, tante altre figurine – adesso ci si prova con una donna, sacrificata sull’altare del giusto per definizione e della rincorsa obbligata sull’altra donna, quella del centrodestra. Vale la pena chiamarlo ancora partito? Sembra più un talent show.

“Una donna che vince nel nome di tante altre”, come titola Repubblica, lascia ben presagire per gli insuccessi elettorali di Schlein: in primis, perché i grossi endorsement di ‘La Repubblica’ portano storicamente male ai dem, in secundis perché una certa sinistra pensa che la Meloni sia la negazione della realtà dimenticando di come anche lei sia donna e, soprattutto Presidente del Consiglio – ma questo non importa, lo sappiamo da tempo che il femminismo vale sono per il gentil sesso di sinistra, come ipocrisia rossa insegna.

In realtà, il Pd scimmiotta Fratelli d’Italia e sceglie un fiocco rosa alla guida del Nazareno sulla scia del protagonismo di Giorgia Meloni.

In effetti la svolta femminile del Pd, con l’inizio dell’era di Elly Schlein, non è altro che la reazione di chi insegue con la bava alla bocca chi la rivoluzione l’ha fatta da sola, all’interno del suo partito prima, della sua coalizione poi.

E’ l’effetto Meloni per cui Schlein deve innanzitutto rappresentare l’anti-Giorgia, la “donna che ama una donna, e non per questo è meno donna” in contrapposizione alla ‘donna, madre, cristiana’.

Scorciatoia narrativa inefficace in quanto evidenzia come nell’anti-melonismo si erga maestosa una nuova vittoria del melonismo stesso, se inteso quale effetto emulativo e subalternità culturale.

Sia ben chiaro, non sono tutti fessi: Schlein è semplicemente il nuovo fantoccio rosso, tanto banale quanto impreparata, proprio come piace alla obsoleta sinistra: tante frasi fatte, scontate e strappa applausi.

Nessuna novità sotto questo cielo.

E’ una torsione paradossale che mette la parola fine ad un esperimento mai riuscito.

Come illumina il direttore Sallusti, infatti, fino a ieri di sinistra non poteva parlarsene per davvero.

O meglio, quel grosso calderone al quale ci si riferiva era un minestrone indistinto di ex, post e neo di un po’ di tutto, gradito nei salotti, sui giornali e nei talk televisivi ma non sulle tavole del Paese reale; anzi, lì risultava indigesto tanto da preferire chiunque passasse per caso, come il Movimento 5 Stelle nel 2018.

Schlein, invece, pare sia intenzionata a ripristinare il vero partito comunista: basta ascoltare le dichiarazioni e dare un’occhiata ai dati dell’ applausometro e alla provenienza degli endorsement: le grandi ovazioni arrivano dai più nostalgici di quel mondo comunista rimasto per anni prigioniero incatenato dall’ambizione di quel Partito Democratico di diventare un moderno partito social democratico.

Effettivamente, con questa drastica svolta a sinistra, dopo anni di ambiguità il principale partito della coalizione di centrosinistra fuga ogni dubbio e assume una chiara fisionomia, la stessa di Ocasio Cortez e di Corbyn; che i comunisti tornino a fare i comunisti poco importa, anzi: meglio la chiarezza che l’ipocrisia.

Ma sicuro non sarà un problema politico. Non per il governo di centrodestra, perlomeno.

Ad avere grossi problemi, al contrario – a prescindere dalla luna di miele tra i due a suon di no tav, no tap, no termovalorizzatori, no energia nucleare, salario minimo, forti posizioni anti atlantiste ed anti Ucraina, occhiolini alla Russia e grossi baci con la Cina – saranno proprio Giuseppe Conte, il democristiano che si è finto comunista per occupare il vuoto lasciato dalla mancanza di comunisti dichiarati, in una guerra elettorale per la supremazia di una stessa corrente di pensiero e sulla stessa fetta di elettorato, e la stessa Schlein (la quale, data la specularità delle posizioni con i grillini, forse avrebbe fatto prima a proporsi come leader di un nuovo contenitore risultante dalla fusione dei due partiti, una sorta di Movimento 5 Schlein) che dovrà fare i conti con le correnti più riformiste del Pd che a questa virata a sinistra non possono sottostare.

Assai divisiva ed arroccata su posizioni così radicali ed al limite dell’integralismo, pronta ad imprimere al Pd una linea politica che si preannuncia tutto fuorché moderata, Schlein dovrà – per via incidentale immagino, visto il suo assai ridotto spessore politico – prendere coscienza del fatto che la sua elezione e la sua agenda rappresenteranno davvero un grosso problema per un partito che storicamente raccoglie al suo interno sensibilità politiche molto eterogenee e che da qualche tempo vanta più correnti che punti percentuali.

Se, dunque, il baricentro del Pd dovesse spostarsi pericolosamente troppo a sinistra, diverse anime del partito potrebbero non sentirsi più a loro agio dalle parti del Nazareno. E’ impensabile, infatti, che la componente più moderata e riformista possa accettare di buon grado questa linea ultra progressista.

E se, come pare, l’ipotesi di una grave scissione non è affatto remota, ciò che si prospetta all’orizzonte è un Pd ridotto ai minimi termini e per di più politicamente sottomesso al Movimento Cinque Stelle.

Anche perché con posizioni così drasticamente a sinistra non esistono neanche gli spazi per dar vita ad un progetto politico a lungo termine capace di intercettare la corrente radical popolare di quello che una volta fu il partito di Pannella, poiché lo spirito di quell’elettorato è, e sarà sempre, trascinato da una mentalità liberale.

Pare proprio che Schlein, come rileva Vittorio Feltri, abbia tutte le caratteristiche della dilettante allo sbaraglio e che per sopravvivere sarà costretta a chiamare in soccorso qualche compagno esperto di fallimenti, a parlare bene dei diritti razzolando male sul terreno aspro dell’economia, puntando sul politicamente corretto e le altre fesserie che contraddistinguono la banalità dispersiva dei progressisti: discorsi da assemblee studentesche. Non si capisce come il pragmatismo della frangia riformista possa convivere con l’inconsistenza di temi tanto astratti.

“Saremo un bel problema per il governo Meloni”, minaccia Schlein dall’alto del suo non si sa cosa.

In che modo la sua agenda possa rappresentare un problema per Meloni e il suo governo non è dato sapersi. Ciò che invece si sa per certo, è che il Partito democratico che (nostro malgrado) abbiamo avuto modo di conoscere in questi anni ha ormai le ore contate.

La maggioranza si ritrova, così, un’opposizione incredibilmente frammentata; e ciò non può che essere un bene: dividi et impera. Pd/5stelle al 35% ma senza possibilità di aggregare altri alleati. E’ fatta: destinati all’opposizione a vita.

E non potrebbe essere diversamente se con Elly Schlein dovessero effettivamente vincere solo posizioni anti liberaliste e probabilmente illiberali, sicuramente contro la concorrenza ed il mercato, contro le imprese, a favore della patrimoniale e della fiscalità dipendente dagli indici d’inquinamento delle produzioni, un delirio di ambientalismo ideologico scollegato dalla realtà.

In sostanza, con dati e agenda alla mano, il centrodestra si prepara a raccogliere i frutti dell’autolesionismo dem: quella della Schlein, politicamente, è infatti un’elezione scellerata. Ma se son contenti loro, figurarsi gli umori dall’altro lato dello steccato. Giorgia Meloni può dormire tranquilla: non ha una avversaria ma un’alleata che le darà una grossa mano.

Date le premesse, infatti, il nuovo tassello dello scenario politico non farà altro che renderle ancora più semplice la vita: ora alla Premier basterà semplicemente, come dice bene Faraci, occupare il centro. Non quello geografico politico, ma quello emotivo: ergersi ad unica personalità adulta e matura al centro della stanza mentre i ragazzini sparano a zero intorno.

La palla è ormai completamente in mano alla maggioranza: adesso più che mai può governare ad oltranza per anni, realizzando finalmente le grandi riforme strutturali che di cui i nostri sistemi vetusti necessitano. Visione e scelte di lungo respiro, consapevoli di avere un’opportunità che, prima di tutto, deve essere intesa come responsabilità.

Nel frattempo il Partito democratico – che già da un po’ aveva toccato il fondo – ora comincia a scavare, vittima delle sue stesse macchinazioni.

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